È finita così, all’improvviso, dopo diciassette anni di amore travolgente, totalizzante, appassionante e pericolosamente tossico.
Ti ho scelta che ero ancora una ragazzina, mi sono innamorata subito di te, del tuo carisma, delle code ordinate sulle scale mobili, degli aperitivi, delle innumerevoli opportunità di lavoro ben retribuito che a vent’anni ti fanno sentire grande, delle tue meravigliose Università, dei cinema sempre aperti, degli spettacoli a teatro la domenica pomeriggio, degli aeroporti da cui partivo per poi tornare, perché mi sei sempre mancata, sapevo di “averti lasciato” cuore e testa. Mi sono convinta che fossi lì ad aspettarmi, negli anni sei riuscita a persuadermi del fatto che per te fossi importante, oserei dire indispensabile. Tutte le volte che ho pensato che forse tra noi qualcosa stava cambiando hai tirato fuori qualche valido motivo per farmi cambiare idea: la sanità impeccabile, il lavoro sempre in crescita, gli innumerevoli stimoli culturali, le risposte ad ogni mio bisogno più o meno impellente, l’efficienza innegabile, la meritocrazia legata all’impegno profuso. Ti sarò sempre grata per le innumerevoli persone che mi hai fatto conoscere e che sono rimaste al mio fianco, ma anche per quelle che all’improvviso sono andate via, anzi sono scappate. Perché da te si scappa, non ti si può lasciare dopo una ponderata riflessione. Avrei dovuto farci più attenzione, ma ero troppo impegnata a fare di tutto per piacerti.
Proprio così: io ti ho amato ogni giorno come fosse stato il primo, ma sapevo che il tuo amore avrei dovuto guadagnarlo quotidianamente e non mi hai mai fatto credere che non fosse necessario. La nostra è stata una relazione vergognosamente univoca, non una corrispondenza di amorosi sensi come speravo. Dovevo correre, lavorare quanto e più degli altri e non perché ce ne fosse davvero bisogno, ma perché è quello che ci si aspetta, è quello che tu ti aspetti da tutti. Bisogna fatturare e guadagnare, non importa se poi il denaro lo si utilizzerà per pagare baby sitter e colf, costosissimi week end fuori porta in luoghi affollati di gente nervosa, sedute dall’analista, lezioni di yoga o meditazione, bagni di suoni, osteopati che raddrizzano spalle gobbe da smartphone e pc, palestre dove le lezioni di ginnastica posturale e meditazione superano quelle di attività aerobica. Il denaro utilizzato per non impazzire, non per il piacere di fare qualcosa che non sia un antidoto contro potenziali sindromi da stress.
Io ti vivevo con gli occhi innamorati, tu mi guardavi come una delle tante, un ingenuo essere umano utile per accrescere il tuo ego, la tua notorietà, la tua ricchezza materiale, che spesso hai fatto credere fosse anche umana. Avrei dovuto farci più attenzione, ma ero ancora troppo impegnata a fare di tutto per piacerti.
Poi all’improvviso il 21 Febbraio di quest’anno ti ho visto per la prima volta per quello che realmente sei: una grandissima stronza.
Se ci fossimo trovate in una casa in preda alle fiamme mi avresti lasciata dentro a bruciare, anche avendo a disposizione il tempo per salvarmi. Purtroppo questa volta il prezzo da pagare è stato molto più alto di un’unica vita umana e nei tuoi occhi ho ritrovato un vuoto meccanico. Se avessi visto in te solo la paura di non sapere come gestire una situazione straordinaria, come quella che abbiamo vissuto, ti avrei capita, abbracciata e aiutata. Non è stato così. Ho visto l’indifferenza, la menzogna, la superficialità, il cinismo e poi, quando le acque si sono calmate, la fretta di ricominciare come fosse ancora tutto fermo al 20 Febbraio, come se io fossi un automa, come se tutti fossimo senz’anima.
Solo a quel punto ho prestato più attenzione e mi sono vista esattamente come mi hai sempre vista tu in questi diciassette anni: una ragazzina da circuire, l’ingranaggio di una catena di montaggio, un labrador chiuso in appartamento a Brera da far portare fuori alla donna di servizio. Non mi hai mai amata, non hai mai amato nessuno, non sarai mai in grado di farlo. Ti devo tanto, tantissimo, ma come in tutte le relazioni pericolosamente tossiche arriva il momento in cui i beni materiali non riescono più a sopperire ai sentimenti inesistenti. Non ti accorgerai di nulla, ci sarà qualcun altro da ammaliare e tutto continuerà come sempre, perché trentacinque mila morti per te valgono poco più di una colonia di topi uccisi durante una derattizzazione.
Milano, non ti amo più, ma possiamo diventare buoni amici, come quelli che si cercano quando hanno bisogno l’uno dell’altro, senza viversi fino in fondo perché sanno che potrebbero solo continuare a farsi del male, fino a desiderare di uccidersi e io, invece, voglio continuare a volerti bene, almeno un po’.
E dove vai adesso se posso chiedere???
In Puglia, a casa <3
Buon ritorno in quella che è a tutti gli effetti “casa” ❤️
…vabbè fortunata Milano ad averti ospitata!
PS post bellissimo 🙂
Molto interessante e ben scritto rende benissimo l’idea dei sentimenti controversi in cui mi ritrovo … mi piace molto
Ho letto tutto d’un fiato.
Attendo di sapere come andrà questa amicizia.
Sei forte Francesca, molto forte.
E tutta la Puglia, la tua terra, non aspettava altro che il tuo ritorno.
Bellissimo pezzo, incontrato per caso.
Grazie
Da Milanese Doc ho sempre dato Milano come scontata e non l’ho mai guardata con gli occhi dell’amore. Negli anni dell’Universita’ ho odiato i pave’ e gli automobilisti che ignoravano la mia bici rendendo pericoloso ogni spostamento. A parte i centri sociali con i loro concerti e attività tutto era sempre maledettamente caro per poterne fare indigestione come avrei voluto.
Guardavo con struggente desiderio Bologna e con invidia chi studiava li ma non avevo motivi per trasferirmi.
Appena ho potuto ho preso le distanze per riossigenarmi prima che il lavoro mi rilegasse di nuovo lì. Ora come molti la vivo dal lunedì al venerdì e la prendo per quel che è: imperfetta come tutti.
Questo articolo avrei potuto scriverlo io…
Vi auguro una ripresa a casa, Casa.
E intanto aspetto la mia… 🙁
Cosa è successo fra il 20 e il 21 febbraio?