GIORNO QUARANTA DI QUARANTENA

Oggi è il quarantesimo giorno di quarantena, per me. 

Sono esattamente quaranta giorni che vivo proiettata in una dimensione parallela dove il passato lo ricordo poco e il futuro prossimo non lo immagino affatto. Ho avvertito la necessità di scrivere quando mi sono resa conto che i pensieri si stavano sovraffollando, che non riuscivo più a riorganizzare la sequenza degli eventi delle ultime cinque settimane. Mi sono ripromessa di non farmi più venire la gastrite per alcune cose che leggo on line, l’ho fatto soprattutto perché in farmacia non ci voglio andare e il mio medico ha già troppe questioni, decisamente più importanti, da gestire. Perciò quello che sto per elencare è una serie disordinata di pensieri, che un giorno rileggerò per ricordarmi di questo strano periodo sospeso, che, insieme alla mattonella rotta in cucina per il suicidio involontario dell’impastatrice, diventerà preziosa “memoria familiare”.

Cose che ho imparato, ma che già immaginavo.

Cose di cui ho avuto conferma.

Cose che non conoscevo.

Cose che avrei preferito non scoprire.

Cose a caso.

(In ordine sparso)

  • I bambini sono molto più responsabili degli adulti. [OMISSIS] La lunga descrizione di come ha vissuto Lavinia questi primi quaranta giorni l’ho stampata e riposta tra le sue cose, un giorno la rileggerà per ritrovare la Lavinia di cinque anni, vissuti in un periodo che studierà nei libri di storia. E sarà fiera di se stessa e di che meravigliosa bambina sia stata.
  • I nonni riescono a essere degli impeccabili baby sitter anche on line. Questo è uno dei misteri che probabilmente non comprenderò mai: come facciano mia madre e mio padre a giocare con Lavinia per ore anche a 1000 chilometri di distanza. Facciamo parte delle tantissime famiglie che non possono godere del supporto quotidiano dei nonni per ovvi motivi di distanza, siamo allenati a questo distacco prolungato, non ci coglie di sorpresa e ho ampiamente usufruito del loro supporto in questi anni, quando spesso dovevo terminare dei lavori ed ero sola con lei. Mi mancano i miei, mi mancano tanto. Non li vedo da fine Gennaio e non è quello il problema, ma la mancanza di certezza sul quando potrò rivederli. Quello sì, pesa come un macigno sul cuore e sull’umore.
  • Ho scoperto quanto può essere preziosa una sedia di troppo. Sono quasi cinque anni che Trippa c’è e il suo esserci è strettamente collegato all’assenza di Pietro dal tardo pomeriggio a notte inoltrata (non so di preciso l’ora perché sto già dormendo da tempo). È una situazione che pesa? Forse all’inizio pesava di più, poi ci si fa l’abitudine, come per ogni lavoro, come in ogni coppia. Si costruiscono equilibri, che diventano quotidianità, si negoziano revisioni in corsa sulle abitudini, si ristabiliscono ruotine. E poi arriva la quarantena e lui è a casa prima di cena, per cena e dopo cena. E Lavinia è la bambina più felice del mondo e io devo lottare per l’egemonia del telecomando, che già fa ridere così, considerato che alle 22:30 sto già dormendo sul divano. Io e Pietro ci amiamo da tempo immemore, condividiamo la nostra vita da tanti anni e abbiamo superato eventi notevolmente più gravi del potenziale contagio da Coronavirus, sarà per questo che la convivenza h24 di questa quarantena è diventata una sorta di bizzarra vacanza forzata e non necessaria. Ci divertiamo molto, non lo nego, stiamo crescendo una figlia che si diverte esattamente con e come noi, abbiamo imparato a farlo negli anni e in queste situazioni di emergenza viviamo di rendita. Le tensioni, però, ci sono e guai se non ci fossero. Sono la conseguenza della stanchezza, dell’ansia, della preoccupazione, dell’ineluttabile, dell’incertezza. E va a finire che si scatena l’apocalisse quando in un mite pomeriggio di tre settimane fa gli ho chiesto di portare in cantina la quarta sedia posizionata intorno al tavolo della cucina. Siamo in tre, ci rimarremo chissà ancora per quanto tempo, non ha senso che occupi spazio. Lo chiedo, lo pretendo e lui si oppone. Discutiamo per almeno 15 minuti del nulla cosmico, di come una sedia pregiudichi il mio spazio vitale e di quanto stupida per lui sia questa mia presa di posizione. All’improvviso scoppiamo a ridere, così dal nulla, come un’illuminazione arriva la consapevolezza che la sedia è il capro espiatorio, che se non ci sono motivi per litigare uno se li deve inventare, che la tensione a volte percorre strade inaspettate. E così quella sedia è ancora lì, è diventata l’oggetto per cui ridiamo ogni volta che la stanchezza prende il sopravvento e sentiamo che uno dei due ha solo voglia di fare “una svastica in centro a Bologna, ma era solo per litigare” (come canterebbe Calcutta).
Mezzo chilo di lievito di birra porzionato con bilancia e coltello affilato
  • So cucinare. Ok, scritto così forse trasmette troppa superbia, ma è “per veramente”. Precisazione doverosa a questo punto: singerfood è un blog di cucina, ma le ricette che trovate sono tutte preparate da Pietro, mio marito, e gustate con entusiasmo da me. Torniamo alla cronaca in cucina di questi quaranta giorni. Ho impastato e rimpastato, ho preparato la Focaccia di Scarole alla disperata ricerca della ricetta di Zia Maria, una delle sorelle del mio nonno paterno, scomparsa all’improvviso portando via con sé i segreti di quella magica preparazione. Ho tentato di rifarla ed era buonissima, manca ancora qualche dettaglio, ma temo che sarà impossibile eguagliare la sua. Ho fatto il pane, non lo avevo mai fatto e le aspettative generali erano bassissime. Era buono, non buonissimo. Lo rifarò più e più volte, perché ora ho tempo, ho l’umore per seguire le interminabili lievitazioni e la necessità di vedere qualcosa che nasce dal nulla diventando bene prezioso per tutta la famiglia. Avete presente l’ondata di gente che sta impastando e cuocendo pane e focacce in questi giorni? Credo proprio che provino la mia stessa sensazione, quella di sentirsi onnipotenti anche solo per il tempo di un assaggio. È catartico, fa stare bene. Ciò non toglie che quando si potrà di nuovo uscire correrò (letteralmente) a comprare pane e focaccia in Puglia. No, a Milano no, non c’è nessun panettiere che ha conquistato il mio cuore. Ho ribadito la mia netta superiorità rispetto a Pietro nella preparazione dei legumi, sono una fuori classe. Il trucco è questo: dimenticarli in ammollo e poi dimenticarli ancora nella pentola di ceramica mentre stanno cuocendo, per sopraggiungere in modo fortuito poco prima che si brucino. È talento.
Testo di un pos di Facebook
  • Non potrò mai diventare un cinico squalo. Avete presente quei personaggi che di solito vengono rappresentati con lo sguardo di ghiaccio che denota una totale assenza di sentimenti? Un po’ li invidio, perché sono impermeabili alle emozioni. Io invece mi incazzo, nel bene e nel male. E sono quaranta giorni che mi porto appresso un fardello ingombrante, colmo delle parole di saccenteria, scherno e ostentata superiorità da cui sono stata travolta dal 22 Febbraio all’8 Marzo. Il post che vedete sopra l’ho pubblicato Lunedì 24 Febbraio, prima di qualunque decreto e dell’ondata di “Milano non si ferma” sostenuta anche dal sindaco di Milano Sala (che stimo tanto e che mi ha pugnalato al cuore con quell’atteggiamento, nonostante qualche giorno fa abbia ammesso di aver sbagliato). Ci credevo profondamente a quello che ho scritto, avevo paura di quello che sarebbe potuto succedere e speravo che la mia ansia fosse solo un’eccessiva manifestazione da ipocondriaca. Tutto il resto è storia nota e forse ognuno ha ricordi confusi e vaghi di quei primi giorni, ma io no. Mi tuonano ancora in testa i “dai sei esagerata”, “non uscire eh casomai ti infetti. Ahahah”, “dovresti chiedere scusa per la comunicazione sbagliata che avete fatto”, “è un’influenza e stai esagerando, lo dicono i medici”, “se tutti la pensassero come te ci sarebbe una grande crisi economica”, “poveretta tua figlia che è chiusa in casa”. Non continuo perché il desiderio irrazionale di rendere pubbliche le fonti di tutto ciò è forte, perché sono quelli che dal 9 Marzo (quando le mie paure sono diventate Decreto) si sono trasformati magicamente nei massimi sostenitori del “restiamo a casa”, “stronzi tutti quelli che escono”, “chiudiamo le fabbriche”, “muriamo vivi gli anziani”. Non volevo che in quei giorni confusi mi venisse data ragione, pretendevo, però, che venisse rispettata la mia sacrosanta paura nei confronti del contagio e della malattia. Non è stato così, ne prendo atto a distanza di quaranta giorni trascorsi esattamente come temevo ci sarebbe stato imposto. Sono più di tre settimane che tutti viviamo nella stessa dimensione spazio temporale e io non sto impazzando, loro sì.

[Che poi ho anche cercato di darmi una spiegazione sull’assurdità di dovermi sentir dare dell’allarmista visionaria davanti a una situazione che in Cina si conosceva bene e minacciava di diventare ugualmente pericolosa in Italia, sarà stato “bias di conferma” come spiega benissimo Fabio Sabatini,  Associate Professor of Economics and Chair of the European PhD in Socio-Economic and Statistical Studies alla Sapienza di Roma, nei suoi tweet . Non lo so, so soltanto che non lo dimenticherò, perché quando qualcosa mi ferisce in periodi di fragilità si trasforma in una cicatrice sempre aperta] 

  • Il lavoro tornerà. Lavoro con partita IVA, che da esattamente un mese vuol dire “non lavoro”. I miei amici sono a casa con i figli in smart working e li capisco quando si lamentano, è difficile. Ne conosco bene le problematiche e le difficoltà, ma vorrei essere al loro posto quando riceveranno lo stipendio di Marzo. Perché loro lo riceveranno. Io no. È tempo di lamentarsi? No. Ci rimboccheremo le maniche e lavoreremo il doppio. Ci inventeremo qualcosa, saremo bravissimi a farlo. Ne sono convinta e dovrebbe pensarla così ogni persona che si trova nella nostra stessa situazione. Stiamo bene, non possiamo lamentarci: in questo momento l’ovvietà “viene prima la salute” deve essere il pensiero ridondante. Sarà che in trentacinque anni è l’unica cosa che ho compreso davvero: poter contare sulla salute è fondamentale e chi non la pensa così non si è mai scontrato con la malattia, sua o delle persone vicine.
  • Sto coltivando talenti nuovi, riscoprendone alcuni e rafforzandone altri. Non ho guadagnato tempo libero, ma ho imparato a ritagliarne per me, per distendere mente e corpo, per rigenerare l’anima. Sto leggendo come sempre all’alba, mi sveglio prestissimo e divoro con il caffè romanzi, quotidiani e riviste on line. Ho ricominciato a ricamare, mi riesce bene con uno sforzo minimo, credo sia questione di DNA, mia nonna era una delle più ricercate ricamatrici del mio paese, mia zia è bravissima e mia mamma se la cava. Mi sto allenando per tenere a bada il dolore cervicale: yoga e ginnastica posturale, tornerà il tempo di fare attività aerobica, in casa non riesco, mi rendo conto sia un limite. Vorrei imparare a cucire, me lo ripeto da anni e forse è davvero arrivato il momento di oliare la Singer. Sto giocando tantissimo con Lavinia e Pietro, senza l’ansia delle scadenze, del tempo, degli appuntamenti, del lavoro, della routine. Ho riorganizzato alcuni spazi in casa, non so se in meglio o in peggio, certo quella maledetta sedia prima o poi la porterò in cantina, ma a lockdown terminato. Sto vedendo l’inizio di tantissimi film, per lo più scelti da Pietro, la media di due interi a settimana e cinque interrotti catastroficamente dal sonno.

Ho riassunto così quaranta giorni, tra alti e bassi, tra sorrisi e lacrime, tra pensieri e ricordi. Casa per me è il luogo delle attese, dello scorrere del tempo che deve diventare amico e non compagno ostile. 

Vi lascio con una frase della Regina della Quarantena

“Mamma non voglio uscire, tutti i miei amici sono a casa e se esco solo io non è giusto. Usciremo quando potrò giocare di nuovo con loro al parco. E poi torneremo dai nonni in Puglia.”

Questa è l’espressione più autentica del senso di comunità, l’ha capito Lavinia a 5 anni, lo ignorano migliaia di adulti che ancora rivendicano il diritto all’ora d’aria.

Oggi, con 12.428 morti in Italia (e sono solo quelli ufficialmente positivi).

Bambina che stende l'impasto della focaccia in quarantena da Coronavirus

6 Comments

  1. Daniela 1 Aprile 2020 at 12:26

    “E poi torneremo dai nonni in Puglia”
    La speranza a cui ci aggrappiamo ogni giorno anche noi. Lavinia bimba saggia ❤

    Reply
    1. Francesca 1 Aprile 2020 at 16:13

      Sarà il ritorno in Puglia più bello di sempre.

      Reply
  2. Viviana 1 Aprile 2020 at 14:42

    Sei una persona speciale, davvero meravigliosa, un racconto così sincero e toccante, spero tu possa aver fatto pulizia tra i tuoi contatti dopo la shitstorm, perché non vale sempre la pena donarci agli altri. Chissà se potrò mai conoscerti dal vivo e abbracciarti/vi.

    P.S. Lavinia è una fuoriclasse

    Reply
    1. Francesca 1 Aprile 2020 at 16:13

      Grazie Viviana, di cuore.

      Reply
  3. Alessia 2 Aprile 2020 at 8:00

    Bellissimo articolo… Fantastica Lavinia

    Reply
    1. Francesca 2 Aprile 2020 at 14:54

      Un bacio Alessia!

      Reply

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